Rapporti tra psicologia e mediazione familiare
La mediazione familiare è una disciplina giovane nata negli Stati Uniti che si è diffusa in Europa a partire dagli anni ’70 del secolo scorso. Attualmente in Italia essa rientra nel novero delle cosiddette “professioni non regolamentate” (Legge 4/2013) e, dal 2016, la Norma Tecnica UNI 11644 “Mediatore Familiare”.
Il presente elaborato redatto precedentemente alla Norma Tecnica UNI 11644, fornisce una breve panoramica sul ruolo del mediatore familiare di formazione psicologica. Lo spunto per tale riflessione è stato originato dall’osservazione di una mediazione endoprocessuale di una cosiddetta “coppia difficile”. Si porrà particolare attenzione alle due differenti prospettive nella valutazione del caso e nell’analisi della domanda, e nella pratica della mediazione per quanto riguarda le strategie e tecniche messe in atto.
Esistono tre associazioni professionali iscritte al Ministero dello Sviluppo Economico, di natura privatistica e su base volontaria, riunite in federazione: FIAMeF (Federazione Italiana delle Associazioni di Mediatori Familiari), che oltre a dare garanzie di qualità al pubblico, secondo la L. 4/2013 hanno lo scopo di tutelare la figura professionale del mediatore familiare, verificare e valorizzare l’esercizio della professione, stabilire i criteri operativi e gli standard formativi:
1) A.I.Me.F., Associazione Italiana Mediatori Familiari;
2) SIMeF, Società Italiana di Mediatori Familiari;
3) AIMS, Associazione Internazionale Mediatori Sistemici.
La formazione è aperta a tutti, con il requisito minimo generalmente condiviso della laurea triennale attinente.
Il ruolo del mediatore, pertanto, è svolto da persone la cui formazione spazia tra diversi ambiti, da quello psicologico a quello giuridico, da quello sociale e pedagogico o didattico. Non sono rari i casi di professionisti che svolgono un “doppio lavoro”: ciò comporta due ordini di conseguenze.
Da un lato, sul piano concreto e operativo, vi è il rischio che il professionista si lasci condurre, nello svolgimento della mediazione, su sentieri più familiari e adotti tecniche, metodologie o modi di essere propri della professione “d’origine” e non pienamente conformi alla pratica mediativa.
Dall’altro emerge con sempre maggiore forza la necessità di diffondere l’epistemologia propria della mediazione: un fondamento teoretico che garantisce a questa disciplina l’indipendenza dalle materie giuridiche, psicologiche e sociologiche da cui prende spunto ma con cui, tuttavia, non vi può essere una completa sovrapposizione.
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